Condividiamo con piacere, e con il permesso dell’autore, un’interessante nota critica di Alberto Marradi su “la personalità autoritaria” di Theodor W. Adorno e colleghi.
Carissimi:
in seguito a un breve dibattito telefonico con un collega che esaltava “The Authoritarian Personality” di Adorno & C come la più grande ricerca socio-antropologica, appellandosi a voci comparse su Wikipedia e simili, ho perso molto tempo a buttar giù e mandargli qualche notizia più o meno diffusa su questa ricerca. Dato che
- cerco sempre di cavare qualche utilità dalle mie fatiche
- può darsi che qualcuno di voi sia stato influenzato dal battage che continua a glorificare l’opera,
ho deciso di rifilarvi (share with you, dicono ipocritamente gli anglosassoni) il malloppo appena scritto e spedito.
Se non vi interessa, cestinerete.
Durante la II Guerra Mondiale, la ricca e potente comunità ebraica residente negli Stati Uniti si preoccupa: che garanzie abbiamo che quel che è successo in Germania non si riproduca in futuro qui? Vede infatti gli Stati Uniti allo stesso modo del francofortese Marcuse una generazione dopo: una grande pianura intellettuale omogenea, priva di barriere capaci di arrestare un vento potente che si manifesti. Ignorano una barriera culturale che si è formata due secoli prima del loro arrivo, cioè le tradizioni di autogoverno delle innumerevoli comunità puritane che attraversano l’Atlantico nel 17° secolo.
La comunità cerca quindi qualcuno cui affidare una ricerca sul punto, da loro generosamente finanziata. E sceglie il più famoso fra quelli dei suoi che hanno attraversato l’Atlantico per scappare a Hitler: chi se non Adorno? A sua volta Adorno sceglie come collaboratori altri due profughi ebrei: Else Frenkel Brunswick, grande psicologa (moglie dell’ancora più grande Egon, che però era già psichicamente instabile e si suiciderà poco dopo) e Daniel Levinson, allievo di Else. L’unico non ebreo del quartetto che firma Authoritarian Personality era Nevitt Sanford, professore a Berkeley (contea dove si svolse la ricerca), licenziato poco dopo per aver rifiutato di prestare il giuramento anticomunista chiesto da McCarthy ai docenti universitari.
Fin qui le lodi del quartetto. Vediamo ora la ricerca.
1) per stare comodi, non certo per lesinare i fondi della comunità ebraica, i 4 decidono di limitare l’ambito geografico alla contea di Berkeley, puntare su un campione ragionato di studenti in visita, carcerati etc. e spicciare il fieldwork in pochi mesi del 1946. Un po’ pochino per una ricerca i cui risultati metteranno a rumore la comunità scientifica per decenni e determineranno l’immagine dell’America per quasi altrettanto.
2) coerentemente con l’assunto dei francofortesi (con l’eccezione di Fromm) e dei franciosi* [quello che conta è la teoria: il metodo è una fastidiosa appendice], scelgono la tecnica che tutti usano da una dozzina d’anni: la Likert; ma nessuno dei 4 ha letto un rigo del denso articoletto con cui Likert presenta nel ’32 la sua tecnica.
extra) Rensis Likert era persona così intelligente da aver contemporaneamente
- inventata la tecnica che tutto il mondo usa ancora, a 90 anni esatti di distanza
- individuato quasi tutti i suoi difetti
- proposto rimedi adeguati, anche se perfezionabili, per ciascuno di loro.
il tutto in una breve monografia del 1932: A Technique for the Measurement of Attitudes, in “Archives of Psychology”, XXI.
Il difetto più grave, derivante dalla presentazione di una decina di frasi in batteria, è la tendenza a dichiararsi sempre d’accordo con la frase, qualunque sia il suo senso. Questa tendenza, sulla quale sono stati scritti volumi che i grand theorists non si danno la pena di leggere, ha il nome convenzionale di response set (sottinteso: date senza pensare al senso della frase), e ha tre cause: la noia, la voglia di cavarsi d’impaccio al più presto, e il cosiddetto acquiescent set (nella parole che l’autocritico Likert mette in bocca a un intervistato qualsiasi, who am I to contradict the famous University X?)
Likert propone 3 rimedi specifici:
a) per evitare l’acquiescent set, l’intervistatore deve precisare che le frase non provengono da un professorone, ma sono raccolte per strada dal signor Peppo e dalla signora Maria
b) le frasi devono essere “controscalate”, cioè in una batteria una frase pro diavolo dev’essere seguita da una frase pro spirito santo, e così via.
c) in tal modo, se il signor Peppo si dichiara d’accordo con entrambe, l’intervistatore ben addestrato, ben motivato e ben pagato deve fermarlo, fargli notare con garbo l’incongruenza, e proseguire: a questo punto anche Peppo si sveglia e comincia a rispondere a senso.
Quarant’anni di rapporti con le agenzie di sondaggi in due continenti mi hanno dato l’assoluta certezza che dette agenzie risparmiano la fatica di addestrare i loro intervistatori in modo che effettuino le mosse ai punti a) e c). Certo non si può pretendere che lo facesse l’agenzia californiana che raccoglieva i dati per Adorno & C nella contea di Berkeley.
Il guaio è che nessuno dei grand theorists, o supposti tali, del quartetto, avevo letto una riga della monografia di Likert — se per caso l’aveva letta durate una notte insonne l’aveva cestinata come robaccia metodologica.
Di conseguenza che tutte le domande delle 4 batterie (autoritarismo, conservatorismo politico-economico, razzismo e antisemitismo) erano iso-orientate in senso negativo. (alla faccia della raccomandazione sub b). Il risultato fu inevitabile: tutta l’America (cioè il campione ragionato di residenti, magari temporanei, nella contea di Berkeley) risultò super-razzista, super-autoritaria, super-antisemita, super-conservatrice.
Persino un francofortese fortemente prevenuto come Adorno rimase un po’ stupito, tanto vero che ci misero 4 anni per licenziare alle stampe il libro: ma lo pubblicarono ugualmente, a gloria eterna, ignorando o facendo finta di ignorare il fatto che i risultati erano frutto diretto di un grossolano errore metodologico, ed erano semplicemente da buttare.
Glielo spiegò anni dopo il metodologo Herbert Hyman (HYMAN, Herbert H., e Paul B. SHEATSLEY (1954) “The Authoritarian Personality”: A Methodological Critique, 50-122 in Richard Christie e Marie Jahoda (eds.), Studies in the Scope and Method of “The Authoritarian Personality”. Glencoe: Free Press): ma la critica ebbe eco solo nel ristretto consesso dei metodologi. Ci fu persino uno che ebbe l’dea di porre un rimedio drastico al difetto principale della Likert, chiedendo all’intervistato di scegliere fra due frasi semanticamente opposte, il che impedisce di ricorrere all’accordo sistematico per cavarsi d’impiccio: “Sono d’accordo” “Sì, ma con quale?”
Eccolo (nessuno lo conosce):
Douglas N. Jackson: A Forced-Choice Adjective Preference Scale for Personality Assessment , in “Psychological Reports” XII, 2 (apr 1963): 515-520.
Ma non mi risulta che questo semplice rimedio si sia diffuso nemmeno fra i metodologi, malgrado la dimostrazione empirica della sua ovvia preferibilità pubblicata, su mio impulso, da due mie allieve:
PAVSIC e PITRONE (2000) Conviene rilevare gli atteggiamenti con laforced choice? Ricerca metodologica sul funzionamento di una tecnica, in “Sociologia e Ricerca Sociale” XXI, 62: 81-124.
Concludendo: si tratta del più grande squilibrio mai da me constatato fra la fama di una singola opera e il suo valore intrinseco. Non so se questo spiega le tre paginette che ho partorito; ma ormai il parto è avvenuto.
Un abbraccio.
Alberto Marradi
* per meglio comprendere cosa si intende per “franciosi” consigliamo la lettura di A. Marradi secondo A. Marradi. Per le critiche alla Likert consigliamo
Marradi Alberto e Giancarlo Gasperoni (2002, a cura di). Costruire il Dato 3: Le scale Likert. Milano: FrancoAngeli.